domenica 4 novembre 2012

CLORO

Questo vento mi spinge contro la mia volontà, rischio più volte di cadere, inciampo nei miei piedi e sono addosso ad una persona. Sento che mi afferra per un braccio, mi aggrappo per non cadere, alzo gli occhi, un volto sconosciuto. Mi spavento, tento di scappare e lui sorpreso molla la presa e allarga le braccia. Lo ringrazio con un cenno della mano mentre mi allontano, per continuare a camminare controvento. L’assassineria dorme in attesa di rivedere tutte le sue vittime, ma non oggi. Il vento è caldo, confonde i pensieri, li lascio attaccati saldamente alle pareti del cervello, per poi farli staccare all’improvviso e mescolare tra di loro. Sento nella testa la stessa sensazione, di quando andavo al luna park scappando da scuola e mi infilavo in quelle navicelle spaziali, che lasciavano le mie budella appese ad un filo. Andrò a nuotare, nell’acqua ristabilirò il mio equilibrio, io sono acqua. L’odore del cloro mi punge le narici, vedo i miei piedi fluttuanti più bianchi, piccole bollicine si alzano dalle fessure tra le dita. Ho un po’ freddo, il vento scuote forte la grossa cupola che copre la piscina, siamo in pochi, ognuno è solo ed è quello che volevo. Mi siedo sul bordo guardo l’acqua che circonda le mie caviglie prima, per inglobare i polpacci, fino ad arrivare alle ginocchia. Le muovo lentamente, l’acqua mi resiste ma i movimenti sono sincronizzati alla perfezione. I palmi della mani sono saldi, le dita aggrappate la bordo, ho voglia di quella sensazione di lentezza, di immergermi poco alla volta. Sposto il bacino impercettibilmente, non sono ancora pronta. Io sono l’acqua, ma l’acqua mi respinge e mi spaventa. Io sono l’acqua ma non so di esserlo, no forse invece lo so, ma è difficile. Mi odio per come sono, ma sono fiera di chi è come me, tranne se quell’essere come me, non sono direttamente io. Sento un brivido sopra le spalle, distolgo lo sguardo dalle mie gambe e ruoto la testa, per qualche frazione di secondo non mi sembra vero, credo ad un’ombra, un tumore improvviso alla retina che mi rimanda un’immagine che non esiste. Poi il tocco freddo e bagnato di una mano dietro alla mia schiena, lo stupore fermo sul mio viso. Qualcuno mi sta spingendo in acqua, sento le sue grasse risate sorde, mentre vengo sommersa. Apro gli occhi, in lontananza vedo corpi che si muovono con grazia e i mie capelli fluttuanti di medusa, si incastrano fra le bolle. Muovo le gambe per spingermi verso l’alto e con le braccia formo delle esse per lasciare il mio stato anfibio e riprendere quello umano. Poi ricordo, mi si apre un cassetto della memoria e salta fuori l’immagine. Sono io, vedo me a qualche metro, me rotonda e goffa che cerca di prendere aria dalla bocca per non affogare. Me che lancio gli spruzzi d’acqua troppo in alto, me con le braccia fuori sincrono, me con il sapore del cloro nella gola, me con il naso pieno d’acqua, me aggrappata alle boe che dividono la corsia, mentre tutti gli altri sono già sul podio per ricevere le medaglie. Vedo me con i capelli gocciolanti, davanti alla delusione di chi avrebbe voluto almeno finissi la gara, me davanti ai rimproveri fatti l’un l’altro, da chi avrebbe dovuto sorridere con allegria e scrollare le spalle. Io sono l’acqua, io non posso sfidarla, lo farei con me stessa ed è quello che sono costretta a fare da sempre, per sempre, come un maleficio. Lascio uscire bolle dalla mia bocca, smetto di muovermi e mi lascio portare a galla dalla spinta dell’acqua, con la faccia rivolta verso il basso, rido e aspetto. Attorno a me movimenti, tuffi, sento gente, sento afferrarmi, come qualche ora prima, ma stavolta lascio fare, non ho paura, io controllo, io sono l’acqua. Faccio più boccate che posso e poi mi lascio trascinare fuori, sto bene ma fingo, l’acqua non si sfida, si ama. Le stesse braccia che mi avevano spinto, ora mi tengono la testa, poi tra le ciglia vedo avvicinare il suo volto al mio, il naso stretto, la bocca aperta e l’unione delle labbra. Mi sforzo di tenere il fiato più che posso e al limite lascio liberare i polmoni ed il vomito sprizza direttamente dalla mia alla sua bocca. Tossisco per coprire il riso, mentre lui si pulisce e sputa, rassicuro chi si è avvicinato, accetto le scuse del ragazzo e con gli occhi comprensivi, mostro il mio perdono. Mi piaceva il suo sapore, era quello della paura, misto al brivido della morte. Il vento si è calmato, guardo il cielo, le nuvole si sono allontanate lasciando il posto all’azzurro. Io sono l’acqua, non mi odiate, amatemi.

6 commenti:

  1. Da là vengo qui, a leggere di questo cloro, di questa acqua. E penso ad un giorno lontanissimo, nel tempo e nella memoria, in cui una bambina viene colpita da un braccio in piena pancia e va giù, sotto, e comincia a bere, finché l'istruttore non la recupera e la posa a bordo piscina, con aria scocciata.
    Penso a quanti modi ci sono di essere acqua.
    E che sono felice che questa storia tu l'abbia scritta, qui.

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  2. Come se avessi postato una foto, sento l'odore della piscina.
    Grazie :)

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  3. come ho fatto a metterci tanto a trovarlo, lucilla?
    lo stesso elemento, differenti percezioni.
    per me il presente e l'io e l'interdizione dei sensi
    per te il passato e gli altri, dentro l'acqua, e il rimbalzo degli altri nella tua sostanza.
    per un attimo ho pensato che avrebbe potuto essere la stessa acqua e lo stesso cloro, nello stesso giorno di una stessa città.
    ma poi ognuno era comunque solo. tu, io, gli altri.
    e allora non è più importante né il dove né il quando.
    può l'essere solo accomunare? forse può, nell'acqua.

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  4. già...secondo me eri nella corsia di fianco, perchè l'acqua è l'elemento primordiale e accomuna :)

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